TdF 2011 - Parte II
23 Lug 2011
Nell’ estate del 2000 ricevo una telefonata da Tony Rominger: “C’è un vice-campione del mondo di mountain bike, Cadel Evans, che vorrebbe passare all’ attività su strada. Siccome guadagna già bene come biker, si vorrebbe sapere se ha le qualità per dedicarsi alla strada tempo pieno e dunque rischiare il salto di attività .“
E’ difficile e azzardato rispondere a un quesito simile, ma alla fine acconsento di fargli un test su strada a S.Moritz.
Dopo un riscaldamento di circa un’ ora, l’ appuntamento è sul passo Albula, a 1800m di altitudine: Evans percorre più volte in salita 100m di dislivello ad intensità crescente, rilevando tempi, frequenza cardiaca e acido lattico.
La sua VAM a 4 mM di lattato era 1780 m/h, ottima considerando il deficit di ossigeno legato all’ altitudine.
Gli faccio ripetere lo stesso test dopo altre 4 ore di bici, scalando Albula e Julier Pass, al fine di verificare la sua tenuta alla distanza: il risultato è una VAM = 1820 m/h, addirittura meglio del primo test, probabilmente a causa del lieve calo di peso corporeo .
Chiamai Tony, che allora era il manager di Cadel, e gli dissi che a mio parere il salto si poteva tentare.
Undici anni dopo, Cadel Evans stronca i rivali nell’ unica cronometro e vince con pieno merito un Tour de France disegnato a favore degli scalatori, confermando che per vincere questa corsa bisogna essere completi su tutti i terreni.
Il corridore australiano si difende in prima persona dagli attacchi degli scalatori, limitando i danni nelle tappe alpine, dove abbiamo assistito al suicidio tattico di Voekler che si è ostinato ad inseguire, per oltre un’ ora, da solo, Contador ed Andy Schleck su Telegraph e Galibier: se avesse aspettato il gruppo con Evans e quattro (!) suoi compagni di squadra, molto probabilmente sarebbe salito sul podio a Parigi.